XXVII Domenica. “Servi inutili”

XXVII Domenica. "Servi inutili"

Non è sempre facile comprendere il senso delle parole di Gesù.  A volte ci sembrano dure, contraddittorie, provocatorie. Nel nostro brano c’è soprattutto un aggettivo che ci disturba: “inutili”. Possiamo accettare di essere “servi” perché sappiamo che Cristo stesso si è fatto servo. Ma ci riesce difficile riconoscere che siamo “servi inutili”. E’ una provocazione che sembra offendere il nostro lavoro e i nostri sforzi. Possiamo accettare l’ingratitudine degli uomini per quello che facciamo, ma non possiamo accettare l’ingratitudine di Dio. Per quanto i biblisti si sono sforzati di addolcire la parola greca achreios che traduce “inutili” dobbiamo metterci l’anima in pace e tentare di capire cosa vuole dici il Signore. Certamente l’intenzione di Gesù non è quella di offendere i suoi discepoli e tantomeno insinuare l’idea che essi non valgono niente. Per comprendere il senso delle parole di Gesù forse dobbiamo fare attenzione a quello che aggiunge subito dopo: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Possiamo interpretare queste parole di Gesù in un duplice senso. Come un monito alla responsabilità o come un invito all’umiltà. Ci sono responsabilità alle quali non possiamo sottrarci perché strettamente legate al nostro lavoro o al nostro ruolo. Responsabilità per un padre o una madre è quella di preoccuparsi della famiglia e del bene dei figli. Responsabilità di uno studente è quella di studiare come quella di un operario di lavorare. Non si può pretendere gratitudine per quello che è soltanto il nostro dovere. Ma allo stesso tempo, essere “servi inutili” significa non avere la pretesa di salvare il mondo con le nostre forze. Significa riconoscere che quello che possiamo fare come discepoli è poca cosa rispetto a quello che solo il Signore può fare. Una riflessione del Cardinal Martini può aiutarci a scoprire quali atteggiamenti positivi possono provocare in noi queste parole di Gesù: “Riconoscersi servi inutili rende liberi e sciolti nel presente: liberi dal peso insopportabile di dover rispondere ad ogni costo a tutte le attese, di dover essere sempre perfettamente all’altezza di tutte le sfide storiche di ogni tempo. Questa libertà e scioltezza ci rende umili e modesti, disponibili a fare quanto sta in noi, a riconoscere quanto ci sta ancora davanti, ad ascoltare e a collaborare con semplicità e senza pretese” (Carlo Maria Martini, Discorso per la festa di S.Ambrogio, 5 dicembre 1997).

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