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XXVI Domenica del tempo ordinario. Chi dei due?
Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32 In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due...
Feriale: 7.30 – 19.00 Festivo: 9.00 – 10.30 – 12.00 – 19.00
Estivo(da Luglio 2023)
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AVVENTO-NATALE 2022
“Siate forti, riprendete coraggio”
Salmo 31
All’inizio di un nuovo anno liturgico, dobbiamo pensare al tempo che si apre davanti a noi come una preziosa occasione per ridare slancio al nostro cammino che, in questo momento storico sembra essere più lento e faticoso a motivo di situazioni inaspettate. Per il cristiano si tratta di scoprire ancora una volta che la vita è un “andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene”, così come preghiamo nella Prima Domenica di Avvento.
Inutile nascondere che stiamo vivendo un diffuso senso di smarrimento, di disorientamento e di sfiducia. Anche come credenti ci sembra sempre più difficile attingere coraggio dalla fede. Forse, in questo momento la stiamo vivendo più come un invito alla rassegnazione che uno stimolo a non lasciarsi cadere le braccia.
Per questo, all’inizio di un nuovo anno liturgico vogliamo fare nostro l’invito del salmista:
“Siate forti, riprendete coraggio, o voi tutti che sperate nel Sinore” (Sal 31, 25). L’invito del salmista ci permette due riflessioni necessarie per riprendere il nostro cammino: siamo infatti invitati ad “essere forti” e a “riprendere coraggio”. Dobbiamo chiederci, come credenti, cosa significa concretamente “essere forti” e cosa significa “riprendere coraggio”.
L’invito ad “essere forti” ci rimanda come credente alla virtù della fortezza. Sappiamo che essa è un dono delloSpirito e una delle quattro virtù cardinali. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica leggiamo:
“La fortezza è la virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli nella vita morale. La virtù della fortezza rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni”. CCC 1808).
La fortezza non è una prerogativa degli eroi, ma un dono che Dio offre a tutti e mai, come in questo momento, tutti dobbiamo invocarlo per ritrovare la forza per continuare a camminare. Ricordiamo la promessa di Gesù ai suoi discepoli: “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” (At 1,8). Il dono della fortezza è offerto ad ogni cristiano soprattutto per rendere testimonianza. E quando si rende testimonianza se non nel momento in cui si sperimenta la sfida tra ciò che si crede e ciò che si vive? Ostacoli e delusioni non mancheranno mai, insieme ad eventi inaspettati che ci trovano impreparati. Ma tutto questo non deve mai diventare occasione per fermarsi. La fortezza si rivela proprio nella decisione di continuare a vivere e a credere, affrontando quei tratti di strada che fanno sudare e che a volte vorrebbero costringerci a rinunciare.
Nella storia del popolo d’Israele leggiamo un capitolo interessante della storia di Mosè. Egli ha compreso che ormai la sua missione sta per concludersi e non potrà entrare con il suo popolo nella terra promessa. Ora dovrà affidare a Giosuè il compito di guidare il popolo ed egli lo fa rassicurando il suo successore: “Il Signore stesso cammina davanti a te; egli sarà con te, non ti lascerà e non ti abbandonerà; non temere e non ti perdere d’animo!” (Dt 31,8).Queste parole assumono un significato particolare sulla bocca di Mosè, che dopo aver sopportato il peso di guidare il suo popolo ha saputo che non potrà vedere il successo della sua missione. Il popolo ha attraversato con Mosè il mar Rosso, ora dovrà attraversare con Giosuè il fiume Giordano per entrare finalmente nella terra promessa. C’è sempre un deserto o un fiume da attraversare per entrare nella terra della libertà e della gioia. I cristiani dovrebbero continuamente ricordare che il passaggio fondamentale lo ha fatto Cristo per loro, attraversando la valle oscura della notte per entrare nel giardino della vita. Forse, oggi, il nostro dramma più grande è proprio quello di non essere più disposti o preparati ad attraversare gli eventi drammatici per raggiungere la mèta del cammino. Non si diventa forti a furia di rassicurazioni, di garanzie o di compassione. Si diventa forti non perché non si cade, ma perché ci si rialza dopo essere caduti.Noi, oggi, siamo chiamati ad attraversare questo tempo difficile che la storia ci fa vivere, fissando lo sguardo non sul deserto o sul fiume da attraversare, ma allargano lo sguardo per guardare oltre il deserto o il fiume.
Il versetto del Salmo al quale ci siamo affidati, non solo ci invita ad essere forti, ma anche a riprendere coraggio. La fede non è uno stato di tranquillità. Gesù non ha mai illuso i suoi discepoli con la promessa di una vita serena e senza ostacoli. Anzi, li ha sempre esortati a non abbattersi di fronte alle avversità, confidando solo nella sua presenza e nel suo aiuto.San Paolo parla della fede come una continua lotta che ogni volta chiede il coraggio di affrontare le sfide, confidando non nelle proprie forze ma nella forza che viene dalla fede in Cristo. Siamo noi cristiani ad aver pensato ingenuamente o forse furbescamente che la fede si risolva in precetti da osservare o programmi pastorali da seguire. Il tempo che stiamo vivendo dovrebbe aiutarci a capire che la fede, o tocca la vita concreta o non è fede, ma solo una religione tra le tante che cerca di tacitare le inquiete coscienze. La fede entra in gioco proprio nel momento in cui la vita è messa fuori gioco. In termini più semplici, la fede è il coraggio di vivere senza lasciarsi assalire dalla paura della sconfitta, della sofferenza o della morte. Noi vivremo sempre situazioni in cui saremo tentati di rinunciare a vivere. Scrive lo scrittore inglese Chesterton: “Il coraggio è quasi una contraddizione in termini. Significa un forte desiderio di vivere, proiettato nella possibilità di essere pronti a morire” (Ortodossia).
L’Avvento è un tempo prezioso che il Signore ci offre per riprendere coraggio, certi che il nostro cammino non è un girare a vuoto, ma un andare verso di Lui che ci viene incontro. Il Dio che si è fatto uomo entrando nella nostra storia è la conferma della bellezza della vita, che anche quando ci sono le nuvole, come il sole continua a risplendere.
don Mimmo
Dal Vangelo secondo Matteo 21,28-32 In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Il fatto che Gesù lasci agli ascoltatori la possibilità di tirare le conclusioni della parabola, conferma che siamo abbastanza intelligenti per comprendere cosa significa concretamente compiere «la volontà del padre». E se diciamo “concretamente” è perché nella parabola raccontata da Gesù non è importante la risposta dei due figli all’invito del padre, bensì il loro agire: il primo, infatti, dice di no ma «vi andò», mentre l’altro, disse di sì ma «non vi andò». Il racconto di Gesù mostra in maniera sintetica l’ambiguità delle parole e l’evidenza dell’agire. Se mettiamo a fuoco l’atteggiamento dei due figli, prendiamo atto che tutti e due i figli mostrano un atteggiamento di disobbedienza verso il padre: il primo perché all’inizio si rifiuta: «Non ne ho voglia», il secondo perché risponde: «Sì, signore”. Ma non vi andò». Ciò che distingue il primo…
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