XIII domenica. L’Amore che ci rende più umani

XIII domenica. L'Amore che ci rende più umani

A volte le parole di Gesù sembrano contraddittorie, dure, quasi paradossali. Tuttavia, non possiamo rinunciare ad ascoltarle per comprendere quello che il Signore insegna e chiede a coloro che hanno il desiderio di seguirlo. Nel brano del Vangelo domenicale, Gesù chiede ai suoi discepoli di anteporre l’amore per lui ai legami famigliari, quei legami fondamentali ai quali nessuno di noi può o vuole rinunciare. Per ben tre volte in soli due versetti, Gesù avverte che chi non è capace di vivere questo primato dell’amore e non si rende disponibile a seguirlo prendendo la propria croce “non è degno di me”. Ma le parole di Gesù non sono una assurda pretesa, piuttosto sottolineano in modo forte ed inequivocabile cosa significhi accettare di essere discepoli e disporsi al cammino della fede. Le parole di Gesù non intendono minare i nostri rapporti più cari, ma attraverso il “più di me” lasciano intendere che la fede è prima di tutto una relazione con Gesù. Nella sua Regola san Benedetto ricorda ai monaci lo scopo fondamentale della propria esistenza: “Niente anteporre all’amore di Cristo” (IV,21). Le parole di Gesù non si prestano ad equivoci: la fede non è l’adesione ad una dottrina, non è semplice fedeltà a dei precetti. La fede è prima di tutto il desiderio di una relazione d’amore con Cristo. Amare lui al di sopra di ogni altro legame, non fa passare in secondo piano gli altri affetti, anzi, li comprende e aiuta a viverli in modo più autentico. Anche il riferimento alla “propria croce” da prendere per seguire Gesù esorta il discepolo a vivere in modo diverso non solo gli affetti, ma la stessa vita, con le sue sfide e le sue sofferenze. Gesù infatti chiede di “prendere” la propria croce, non di accettarla o di subirla passivamente. Già da questi primi versetti si comprende chi è il vero discepolo di Gesù e quindi ogni cristiano che accetta di percorrere il cammino della fede. Ma le parole di Gesù non esauriscono il loro significato nell’ambito della fede. Al contrario toccano la vita stessa del credente. Infatti, proprio perché vive la fede come relazione di amore autentico con Cristo, il cristiano impara a vivere in modo autentico ogni relazione, soprattutto quelle più importanti e allo stesso tempo impara a vivere la vita accettandone le sfide e le sconfitte senza lasciarsi tentare dalla rassegnazione. Per il credente “prendere la croce” non è un atteggiamento vittimistico o un gesto eroico, ma il coraggio di chi non si lascia fermare da niente e da nessuno, certo di camminare dietro Cristo. Ma la sintesi del messaggio evangelico offerto in questa domenica lo troviamo nelle parole che seguono i primi versetti: “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”.  Le parole di Gesù mirano direttamente al cuore di chi pensa che il senso della vita sia soltanto la ricerca della propria felicità. “Tenere per sé la propria vita” ci rimanda all’atteggiamento di chi, chiuso nel proprio individualismo sembra incapace di accorgersi degli altri, incapace di intessere relazioni vere ed autentiche. Sono sempre di più le persone che si lamentano della vita solo perché essa non risponde ai loro desideri o alle loro prospettive. Gesù conclude dicendo: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli…”. Non è l’invito ad un gesto di carità, ma molto di più. E’ un invito ad uscire dalla corazza dell’individualismo che ci rende soli e tristi. A volte basta salire su un autobus per accorgersi di come quasi tutti, giovani e anziani, sono tutti concentrati a dialogare con il loro IPhone, chiusi ognuno nel proprio mondo. In una società dove trionfa sempre di più l’individualismo. “Dare un bicchiere d’acqua fresca” non è più un semplice gesto di carità verso l’altro, ma un gesto di carità verso se stessi perché costringe ad alzare lo sguardo dallo schermo del nostro telefonino per accorgersi che c’è qualcuno davanti a noi.

don Mimmo

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