II di Pasqua. Un incontro personale

II di Pasqua. Un incontro personale

Siamo nel Cenacolo e il riferimento alle “porte chiuse” è sufficiente per dire che in quel luogo ora si respira solo un’aria di paura. Una paura motivata soprattutto dalla delusione e forse da un senso di fallimento. Ma quelle “porte chiuse” possono indicare una situazione che coinvolge anche noi, che spesso lasciamo che la paura metta il catenaccio al nostro cuore. II Vangelo, cioè la “buona notizia” è che Gesù raggiunge i discepoli nonostante le porte chiuse. “Venne Gesù, stette in mezzo”. Non solo “venne Gesù”, ma anche “stette in mezzo”. Gesù non è solo “in mezzo”, tra i discepoli, ma visto che il racconto ha appena parlato del timore che chiude i Discepoli nel Cenacolo, Gesù è “in mezzo” a quel timore, a quella paura. Significa che Gesù ancora oggi, non solo non si lascia fermare dalle nostre paure, ma ci raggiunge proprio nelle nostre paure per dire come quel giorno ai Discepoli: “Pace a voi”. Una frase scandita per tre volte nel nostro brano e che non è un semplice saluto, ma un’affermazione, anzi una condizione già realizzata. Quando il Signore entra nel cuore dell’uomo, quel cuore non può che sperimentare la pace. A volte, la nostra paura può essere motivata anche dalla delusione verso noi stessi, incapaci di lasciarci sostenere dalla fede nelle grandi decisioni della vita. Quando ci rendiamo conto che, nonostante ci riteniamo cristiani abbiamo preso decisioni o fatto scelte che tradiscono il Vangelo, viene spontaneo pensare che anche il Signore sia deluso di noi. Ma alle parole “Pace a voi” rivolte ai Discepoli, segue un gesto che noi conosciamo molto bene perché è lo stesso gesto di Dio quando crea il primo uomo: “Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo”. Il respiro di Cristo, il respiro della vita ora diventa il respiro dell’uomo. Il respiro che la paura e la delusione rendono un affanno, ora diventa un respiro di vita, la vita stessa di Cristo. Alla luce di questa esperienza, diventa più semplice comprendere quello che accade dopo, cioè “otto giorni dopo”. Abbiamo sempre pensato a Tommaso come l’incredulo per giustificare i nostri dubbi nella fede. Ma l’apostolo Tommaso può insegnarci anche altro. Egli non riesce a credere per quello che dicono i suoi compagni e pretende un incontro personale con Cristo. Non è sufficiente ascoltare l’esperienza degli altri, così come non si crede solo perché si vive in una società che si definisce cristiana. Come i Discepoli per Tommaso, certamente anche per noi è importante il riferimento alla comunità. E’ interessante l’indicazione dell’incontro “otto giorni dopo” perché ci svela l’origine e il significato del radunarsi della comunità nel giorno domenicale. Ma tutto questo non è sufficiente. E’ necessario, come Tommaso, invocare e vivere l’incontro personale con Cristo consapevole che la fede non è l’adesione ad una filosofia di vita o la semplice accoglienza di un’etica cristiana. La fede nasce da un incontro e si alimenta in virtù di quell’incontro. I cristiani non sono seguaci di una filosofia o semplici esecutori di un decalogo. I cristiani sono prima di tutto e soprattutto discepoli del Signore crocifisso e risorto che testimoniano al mondo il paradosso di vivere e annunciare che non siamo garantiti dall’esperienza del dolore e della morte, ma proprio attraverso l’esperienza del dolore e della morte siamo introdotti nel respiro divino della vita.

Mimmo Falco

Immagine: Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, Olio su tela, collezione della Bildergalerie von Sanssouci, Potsdam (1601)

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