XVI domenica. Credere nella forza del bene

Dopo la parabola del seminatore Gesù presenta altre tre parabole, ma solo della prima, in privato con i suoi discepoli, ne offre la spiegazione. Si tratta della nota parabola del buon grano e della zizzania. Il contesto è simile alla parabola del seminatore, ma il racconto si presenta più vivace a motivo dei dialoghi che la caratterizzano. Infatti, non è tanto la storia, quanto il dialogo tra i servi e il padrone ad offrirci seri punti di riflessione. Prima di tutto lo stupore dei servi: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. In questa domanda riecheggia una domanda antica quanto il mondo: Se Dio è buono perché esiste il male? Alla domanda dei servi, il padrone spiega il perché della zizzania nel campo di grano: “Un nemico ha fatto questo!”. La risposta porta l’attenzione degli uditori sulla presenza del Maligno, come Gesù stesso spiegherà in seguito ai discepoli: “La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo”. Ma questa risposta sembra non rispondere al disagio che molti cristiani sperimentano di fronte alla realtà del male. Crediamo che Dio ha creato un mondo perfetto ma la realtà smentisce questa convinzione. E comunque rimane viva una domanda: come comportarsi di fronte a questa situazione? A questo proposito dobbiamo ascoltare la risposta del padrone che smorza la premura e la fretta dei discepoli nel voler sradicare la zizzania: “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura”. Bisogna aspettare. Ma che significa aspettare? Lasciare spazio al male? Rassegnarsi di fronte alla forza del male che si insinua nella storia degli uomini? Sarebbe un errore credere che la risposta del padrone ai servi sia un invito a lasciar perdere e a vivere rassegnati nella speranza di un giudizio finale. La risposta del padrone ai servi sembra darci un duplice insegnamento. Prima di tutto quello di non avere la pretesa di improvvisarsi “giudici” capaci di stabilire ciò che è bene e ciò che è male. Certo, tutti abbiamo il dono del discernimento, ma non dobbiamo dimenticare che la zizzania, almeno fino alla mietitura, si confonde con il buon grano. Il rischio sarebbe quindi quello di un giudizio affrettato che alla fine per poter sradicare la zizzania danneggia anche il grano. Pensare di poter dividere la società in buoni e cattivi non è solo un’illusione ma anche un rischio. Il secondo insegnamento offerto dalla risposta del padrone ai servi ci fa guardare la realtà stessa del grano che continua a crescere nonostante la presenza della zizzania. C’è una forza nel grano che neanche la zizzania può spegnere. Ma il fatto che grano e zizzania crescono nello stesso campo non deve giustificare nessuna confusione: dobbiamo avere sempre la forza e il coraggio di dare alle cose il loro giusto nome, senza confondere il bene con il male. Questo significa che il cristiano, pur immerso nella realtà del mondo, non dovrà mai rinunciare a credere, ad agire e ad annunciare il bene. Può essere utile a questo proposito riascoltare le parole di Paolo VI che spiegando questa parabola affermava: “La seconda attitudine che il Vangelo ci raccomanda è quella di immunizzarci a vicenda; di conservarci buoni anche se siamo in una società o in un ambiente contrari al bene; di non lasciare che l’infezione ci raggiunga e si propaghi in noi; ma di essere pronti ad anestetizzare, a immunizzare, ad applicare la profilassi morale, la disinfezione fin dove è possibile: nelle nostre case, nei nostri ambienti, nella nostra anima, e particolarmente nel nostro cuore”. (Omelia 08.11.1964)
don Mimmo
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