XV domenica. Un solco da colmare

Non è necessario essere contadini per comprendere che il seminatore di cui parla Gesù nella parabola ha tutta l’aria di un contadino distratto, che spreca la semente senza alcun criterio. Ma la bellezza delle parole di Gesù, e soprattutto il loro significato sono da ricercare proprio nell’assurdità di alcune situazioni. Le parabole di Gesù non intendono raccontare la vita, ma voglio raccontare chi è Dio, e come Dio entra nella vita concreta dei suoi figli. Non possiamo, quindi, paragonare Dio ad un semplice contadino che semina la sua Parola nel mondo. Se lo fosse, quanto meno farebbe attenzione a dove semina: non sui rovi, o sulle pietre o sulla strada. Un bravo contadino seminerebbe nel terreno arato perché solo questo può garantire la fecondità del seme. Ma Dio semina ovunque, anche là dove nessuno pretende che possa germogliare un seme. Dio è sempre abbondante nelle sue cose. Soprattutto, Dio non è legato come gli uomini alla logica del profitto che semina dove si spera di avere frutto. La logica di Dio è quella del dono, dell’abbondanza. Una logica animata dalla speranza che, in ogni situazione, anche la più inadatta, qualcosa possa germogliare. A questo punto, alla luce del risultato della semina che Gesù racconta nella parabola, potremmo concludere che il messaggio della parabola sia da cercare in quelle zone di terreno che non accolgono il seme. In realtà, è Gesù stesso a dare questa spiegazione quando ne svela il significato. Ma Gesù, prima della spiegazione fa un’affermazione a prima vista enigmatica, incomprensibile. Ai discepoli che gli chiedono perché parla alle folle in parabole, Gesù risponde: “Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono”. Come dobbiamo interpretare queste parole di Gesù? La colletta iniziale della Messa riconosce che Dio ancora oggi continua a seminare: “continui a seminare nei solchi dell’umanità, perché fruttifichi in opere di giustizia e di pace”. Chi ha la responsabilità di collaborare alla semina di Dio nel mondo dovrà lasciarsi prendere da un dubbio: l’efficacia della semina dipende solo dalla disponibilità del terreno ad accogliere il seme o riguarda anche la qualità del seme che viene seminato? Se nella parabola raccontata da Gesù il seme è la Parola di Dio che noi dobbiamo collaboriamo a seminare, noi oggi quale seme seminiamo? Spesso ci lamentiamo della indifferenza della gente, delle chiese vuote, di un mondo che non sa aprirsi all’annuncio del Vangelo. Ma il Vangelo di questa domenica sollecita un’altra domanda: perché accade tutto questo? Nonostante la partecipazione di molti fedeli alla Messa domenicale, nonostante la continua richiesta di celebrare i sacramenti, nonostante le tante attività pastorali e iniziative caritative, noi non vediamo l’umanità fruttificare “in opere di giustizia e di pace”. Un grande teologo come Padre Bernard Haring affermava che la “la liturgia è il miglior manuale di vita cristiana, che non si contenta di insegnare alla nostra intelligenza, ma mira soprattutto a plasmare il nostro carattere”. (“Esistenza cristiana e liturgia” in Liturgia, Dizionari san Paolo). Forse il solco più profondo che dobbiamo seriamente cominciare a considerare non è quello del terreno in cui seminare, ma quello scavato tra la soglia della chiesa e il ciglio della strada, tra le nostre celebrazioni e la vita quotidiana. Prima di un solco in cui seminare c’è un solco da colmare.
don Mimmo
immagine: Vincent van Gogh, Seminatore al tramonto, (1888) Museo Kroller-Muller, Otterlo
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Marzo 22, 2025